Theory and History of Ontology (www.ontology.co)by Raul Corazzon | e-mail: rc@ontology.co

Platone, Il Sofista. Bibliografia degli studi Italiani

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The Philosophy of Plato

Bibliografia

  1. Arangio-Ruiz, Vincenzo. 1950. "Le operazioni della dialettica nel Sofista di Platone." In Studi di filosofia greca. Pubblicazione in onore di R. Mondolfo, edited by Alfieri, Vittorio Enzo and Untersteiner, Mario, 231-244. Bari: Laterza.

  2. Bancalari, Stefano. 2019. " Sulla soglia della metafisica. Il Sofista tra Platone e Heidegger." Giornale di Metafisica:434-447.

  3. Belardi, Walter. 1997. "Dal "non essere" parmenideo all' "alterità" platonica: un caso di paralogismo verbale." Atti della Accademia Nazionale dei Lincei.Rendiconti Classe di Scienze Morali Storiche e Filologiche no. 8:633-647.

    Abstract: "Plato, in his dialogue The Sophist, tried to disprove the thesis of Parmenides, according to which the contrary of the eiναi would be the nonexistent μη eφναi. Plato maintained instead that μη eφνα is not the contrary of eγναi but its otherness (το eτeρον). Plato's argument has seemed impeccable and constructive, and has had notable resonance and a sound approval through the history of the philosophy. Really, the deep structure of Parmenides' nominalized μη eγναi was a predicate. Plato replaced the universal notion of «being (eiναi) with an eφναi assumed as a determined «thing. Besides he transformed the negative meaning of μη into the arithmetic meaning of less». So that μη slum → - eiναi», and the wholeness of the «things», from which eφναi was subtracted, became the wholeness less to be, viz. the. Such an argument is actually a paralogism, according to Aristotle who says exactly: «it is not the same thing to affirm not to be absolutely and to affirm not to be in a determinated sense and about a determined thing (Soph. elench. I67 a 4). Then, Plato simply committed the well known paralogism which consists in changing a statement «a dicto simpliciter ad dictum secundum quid»."

  4. Berti, Enrico. 2004. "Elementi di ontologia nel Parmenide e nel Sofista." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 15-22. Milano: Albo Versorio.

    "È possibile ricavare degli elementi di ontologia da entrambi i dialoghi e credo di aver trovato un passo del Sofista (c. XXXII, 244 b-245 e) in cui, a proposito di tematiche ontologiche, sembrano essere contenuti riferimenti al Parmenide. Mi rendo conto che questa affermazione è molto audace e azzardata." (p. 15)

    (...)

    "Ebbene, il passo del Sofista che ho preso in considerazione contiene, a mio giudizio, alcuni riferimenti a quelle che tradizionalmente sono chiamate le prime due ipotesi del Parmenide." (p. 15)

    (..-)

    "In conclusione mi sembra che, in questo passo del Sofista, si trovi una conferma di ciò che è detto nel Parmenide. Ciò significa che il Parmenide non è un dialogo aporetico, come molti affermano, ma è un dialogo costruttivo, sia pure in senso dialettico, cioè come confutazione dell'eleatismo.

    Credo che sia aporetica, effettivamente, la prima parte del Parmenide, cioè tutta la discussione sulle idee. Quanto alla seconda parte, non credo che essa sia un mero esercizio dialettico, ma penso che essa contenga un nucleo di ontologia, il quale, tuttavia, non emerge con chiarezza nel Parmenide, ma emerge, invece, nel Sofista, se è vero che il Sofista contiene questo riferimento alle prime due ipotesi del Parmenide." (P. 22)

  5. Bianchetti, Matteo, and Storace, Erasmo, eds. 2004. Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista. Milano: Albo Versorio.

    Indice: Matteo Bianchetti, Erasmo Silvio Storace: Presentazione 9; Prima parte. Enrico Berti: Elementi di ontologia nel Parmenide e nel Sofista 15; Giovanni Casertano: Il falso: un'esistenza che non esiste tra cose esistenti 23; Francesco Fronterotta: Pensare la differenza. Statuto dell'essere e definizione del diverso nel Sofista di Platone 39; Maurizio Migliori: Non è l'ontologia il vero cuore del Parmenide e del Sofista 65; Mario Vegetti: Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista 95; Seconda parte. Vincenzo Vitiello: Incontro sul Parmenide e il Sofista 107; Carlo Sini: Il significato politico dell'ontologia di Platone 115; Nota bio-bibliografica 121-123.

    "Questo volume raccoglie le riflessioni di autorevoli studiosi, che si sono espressi e confrontati sulla questione dell'ontologia in Platone e a partire da Platone, nonché sulla stessa possibilità di parlare di ontologia

    in riferimento ad un autore vissuto circa duemila anni prima che tale termine fosse coniato.

    La scelta di questi due dialoghi non è stata casuale, ma guidata dalla volontà di approfondire, all'interno della ricchezza di temi e spunti dell'intera produzione platonica, proprio quel che, interpretato forse attraverso la lente deformante della posterità, appare più. interessante per comprendere lo spazio e la possibilità in cui situare il dire filosofico in generale e la problematica ontologica in particolare." (p. 9)

  6. Bianchi Bandinelli, Ranuccio. 1955. "Osservazioni storico-artistiche a un passo del Sofista di Platone." In Studi in onore di U. E. Paoli, 81-96. Firenze: Le Monnier.

    Ristampatio in R. Bianchi Bandinelli, Archeologia e cultura, Roma: 1979, pp. 146-163.

  7. Bontempi, Milena. 2011. "Opinione e legge: l'anima e la città nella trilogia, Teeteto, Sofista, Politico." In Formal Structures in Plato's Dialogues: Theaetetus, Sophist and Statesman, edited by Lisi, Francesco Leonardo, Migliori, Maurizio and Monserrat-Molas, Josep, 47-58. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    "Il nesso fra legge e opinione è posto esplicitamente nella prima parte del Teeteto, che affronta la dottrina protagorea." (p. 47)

    (...)

    "Il seguito del Teeteto e il Sofista si concentrano sull'opinione nell'anima individuale. Valido però il parallelismo singolo-città, la ricerca sulla doxa dovrebbe servirci anche per la polis e la sua legge. Dato questo particolare punto prospettico, la nostra indagine sull'opinione, tema che nella trilogia è di fatto onnipresente, si concentrerà specificamente sulla dimensione psicologica della doxa, ovvero sulla sua posizione e sul suo ruolo rispetto alla natura dell'anima nel suo complesso. Per capire infine come l'intreccio doxa-legge sia ripreso e rielaborato nelle ultime pagine del Politico, consentendovi di impostare la questione del rapporto e dell'interazione fra la città tutta e le sue componenti, anche singolari." (pp. 48-49)

  8. Botter, Barbara. 2016. "Enti inesistenti: phantasmata in Platone." Archai no. 18:113-149.

    Estratto: "Una delle questioni problematiche attorno alle quali ruota il dialogo Sofista di Platone è la distinzione fra originale e immagine, più precisamente, la distinzione fra originale, immagini vere e immagini false. È per giustificare questa classificazione che il filosofo si impegna nella dimostrazione del non‑essere e gioca, sin dalle prime battute del dialogo, con il dualismo realtà‑apparenza. Scopo del presente articolo è di intrecciare le nozioni di non‑essere e apparenza, tali quali sono definite nel Sofista, per giustificare l’esistenza di enti che sono, pur non essendo reali né veri, i phantasmata, i quali si distinguono da altre forme di immagine per il fatto di essere, per natura, ingannevoli."

  9. Brancacci, Aldo. 1999. "Eutidemo e Dionisodoro, gli όψιμαθείς deI Sofista e un passo dell'Eutidemo." Elenchos.Rivista di Studi sul Pensiero Antico no. 20:381-396.

    "È singolare, ma anche rivelativo, come, tra i non molti passi platonici i quali presentano serie possibilità di riferirsi allusivamente o polemicamente ad Antistene, il solo, forse, il cui riferimento al Socratico

    sia stato accettato pressoché unanimemente da una tradizione storiografica antica(1), e dura a morire, sia un luogo del Sofista platonico, che, invece, alle dottrine e alla persona di Antistene non può in alcun modo fare riferimento." (p. 381)

    (...)

    "Il passo, celebre, del Sofista, che già in quella sede [*] osservai non potersi riferire ad Antistene, perché il suo contenuto, anziché concordanze, rivela opposizioni e contraddizioni gravissime con le dottrine logiche del Socratico, è 251 B-C" (p. 382)

    (...)

    "Ma chi sono allora, una volta escluso il Socratico, gli όψιμαθείς [qualcuno che impara tardi nella vita] di cui parla Platone? A mio parere si tratta di Eutidemo e Dionisodoro, a noi noti dal dialogo che Platone ha intitolato al primo dei due, ove la fisionomia dei due sofisti è delineata con una serie di tratti che il passo del Sofista riecheggia con precisione." (p. 386)

    (1) Una lista dei principali studiosi che hanno sostenuto questo riferimento è in G. Giannatoni, Socratis et Socraticorum Reliquiae (" Elenchos ", XVIII), Napoli 1990, I, pp. 369-70.

    [*] A. Brancacci, 'Oikeios logos'. La filosofia del linguaggio di Antistene ("Elenchos", XX), Napoli 1990.

  10. Cambiano, Giuseppe. 1986. "Tecniche dossografiche in Platone." In Storiografia e dossografia neUa filosofia antica, edited by Cambiano, Giuseppe, 61-85. Torino: Tirrenia Stampatori.

  11. Capra, Andrea. 2008. "La carne e il fantasma: il Sofista di Platone e l’ombra del filosofo." OT / Orbis Tertius. Ricerche sull'immaginario contemporaneo:39-46.

  12. Carchia, Gianni. 1997. La favola dell'essere. Commento al Sofista. Macerataa: Quodlibet.

    Con il Sofista di Platone nella traduzione di Ermidio Martini.

    Presentazione "Problemi e motivi de Il Sofista platonico sono all’origine di innumerevoli ricerche della filosofia contemporanea. Basti pensare, per rammentare il caso più celebre, all’esergo di Essere e tempo di Martin Heidegger. Spesso, però, quest’incontro si è realizzato attraverso una forzata attualizzazione del testo platonico, come provano soprattutto i trattamenti cui esso è stato sottoposto nelle indagini delle scuole filosofiche d’ispirazione analitica. Diversa è l’intenzione del presente commento. Esso non si propone, infatti, di interrogare e sollecitare Il Sofista, per rinchiuderlo nell’orizzonte dei problemi attuali della filosofia. Al contrario, esso vuole rimettersi all’ascolto del testo platonico, per prolungare innanzi tutto le sue stesse domande. In questa lettura, insomma, è Platone a interrogare la nostra attualità, mentre l’esegesi si pone come l’onda di risonanza del testo, ovvero, in termini figurativi, come una sua “icona”. Il commento vorrebbe così rendere giustizia all’idea di filosofo che nutre il dialogo platonico, ponendo la sua differenza dal sofista. Per quest’idea, la filosofia è musica, pura voce accordata sull’essere, mero tramite del suo risuonare."

  13. Casertano, Giovanni. 1999. "Il “veramente falso” in Platone." Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli no. 90:33-47.

  14. ———. 2004. "Il falso: un'esistenza che non esiste tra cose esistenti." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 23-38. Milano: Albo Versorio.

    "Quello che qui vorrei mostrare è che (...) Platone costruisce il suo discorso sul difficile crinale della differenza tra una duplice discendenza da Parmenide: da un lato i sofisti, che su Parmenide fondano, sempre nell'interpretazione platonica, la loro negazione del falso basandosi sulla negazione del non essere; dall'altro Platone stesso, che, a sua volta "interpretando", su Parmenide fonda la netta distinzione tra verità e falsità, concedendo una realtà al non essere. Questa operazione, che esaminerò per quanto detto nel Sofista, è comunque condotta con la piena coscienza della sua problematicità, che traluce anche nella stessa impostazione stilistica e linguistica del dialogo." (p. 25)

    (...)

    "Concludendo, l'orizzonte parmenideo, nella sua tesi centrale della coincidenza tra realtà e verità, qui nel Sofista, viene riaffermato ma non dimostrato, perché la differenza tra discorso vero e discorso falso non è

    questione di differenza logica, od ontologica, ma etica, o politica. E Platone lo sa bene, ed anche in questo dialogo ci sono tutti gli indizi di questa sua consapevolezza: ma è discorso che qui non posso affrontare.

    Ma quella che resta comunque, sempre, anche in questo dialogo, e non sullo sfondo, bensì rivendicata esplicitamente, è la centralità del logos e della dialettica, del discorso in quanto costitutivo della filosofia (260a) e dell'unica "scienza degli uomini liberi" (253c-d): la quale, se è vero che appartiene non genericamente al filosofo, ma "a colui che filosofa con purezza e giustizia" (253e ), non può però procedere se non confutando, essendo la confutazione la massima delle purificazioni, tanto che chi non è stato mai confutato, fosse pure il Gran Re, non essendo purificato nelle cose più importanti, è privo di educazione e brutto nell'anima (230d-e)." (p. 37)

  15. ———. 2009. "Verità e realtà nel Sofista e nel Parmenide platonici." In Gli Antichi e noi. Scritti in onore di Antonio Mario Battegazzore, edited by Lapini, Walter, Maluza, Luciano and Letterio, Mauro, 31-44. Genova: Glauco Brigati.

  16. ———. 2019. "ΠIΣΤOΣ ΛΟΓΟΣ ed ΑΠΑΤΗΛΟΣ ΚΟΣΜΟΣ ΕΠΕΩΝ in Parmenide di Elea." In Venticinque studi sui preplatonici, 205-216. Pistoia: Petite plaisance.

  17. ———. 2019. "Astrazione ed esperienza: Parmenide (e Protagora)." In Venticinque studi sui preplatonici, 217-236. Pistoia: Petite plaisance.

  18. ———. 2019. "Noterelle parmenidee." In Venticinque studi sui preplatonici, 237-248. Pistoia: Petite plaisance.

  19. ———. 2019. "Aristotele critico di Parmenide." In Venticinque studi sui preplatonici, 249-265. Pistoia: Petite plaisance.

  20. Castelli, Laura Maria. 2007. "Note sulla nozione di δύναμις τοῦ ποιεῖν και πάσχειν in Soph. 247 D-E: alcuni spunti aristotelici " Elenchos.Rivista di Studi sul Pensiero Antico no. 28:415-434.

    "In un discusso passo del Sofista (247 D-E) Platone fornisce una caratterizzazione di ciò che è in termini di δύναμις ποιεῖν και πάσχειν. Tale caratterizzazione sarà destinata (nonostante la sua oscurità

    per gli interpreti del testo platonico) ad una straordinaria fortuna nella storia della filosofia attraverso l'idea che l'efficacia causale possa costituire un criterio di esistenza.(1)

    Le note qui proposte sulle espressioni che compaiono nella formulazione dello ὄρος di Soph. 247 D-E (δύναμις τοῦ ποιεῖν και πάσχεινna:crxnv) hanno lo scopo di riesaminare tale caratterizzazione nel suo

    complesso, cercando di valutarne la possibile portata qualora la si intenda, se non come una conclusiva definizione dell'essere, per lo meno come espressione di un nucleo teorico non meramente provvisorio.

    Alcuni passi dei Topici di Aristotele sembrano fornire materiale utile per la discussione." (p. 415)

    (1) Cfr.J. Cargile, On "Alexander's dictum", «Topoi», XXII (2003) pp. 143-9.

  21. Cattanei, Elisabetta. 2011. "Arithmos nel Teeteto, nel Sofista et nel Politico di Platone." In Formal Structures in Plato's Dialogues: Theaetetus, Sophist and Statesman, edited by Lisi, Francesco Leonardo, Migliori, Maurizio and Monserrat-Molas, Josep, 59-71. Sankt Augustin: Academia Verlag.

  22. Charles-Saget, Annick. 1988. "Un esempio di ermeneutica neoplatonica. Il Sofista-Demiurgo." In Questioni neoplatoniche, edited by Romano, Francesco and Tiné, Antonino, 27-44. Catania: CUECM.

  23. Chiereghin, Franco. 1969. "La metodologia della storiografia filosofica di Platone nel Sofista." Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti no. 24:205-223.

  24. Chiurazzi, Gaetano. 2015. "Salvare le differenze. Sulla necessità del non-essere nel Sofista di Platone." Verifiche no. 44:29-46.

    Abstract: "La tesi centrale dell'articolo è che ci sia una relazione tra la definizione dell'essere come dynamis nel Sofista di Platone e la discussione coeva sulle grandezze incommensurabili, mostrando come alcuni degli argomenti che Platone usa per affermare l'insostenibilità della definizione quantitativa dell'essere (Uno, molti) sono riconducibili all'argomento sulla decomposizione del pari e del dispari con cui si dimostra l'irrazionalità della diagonale del quadrato. Come conseguenza, l'articolo cerca di mostrare che la definizione dell'essere come dynamis è necessaria al fine di "salvare le differenze", ovvero far sì che l'uno non sia uguale al due, come accade secondo Platone nelle tesi dei monisti e dei pluralisti, un collasso logico e ontologico che sarebbe anche conseguenza della negazione dell'irrazionalità della diagonale."

  25. Cordero, Nestor-Luis. 2002. "Aristotele critico spietato ma erede furtivo del Sofista di Platone." In Gigantomachia. Convergenze e divergenze tra Platone e Aristotele, edited by Migliori, Maurizio, 205-219. Brescia: Morcelliana.

  26. Cosenza, Paolo. 1958. "Aristotele e la dottrina della partecipazione secondo il 'Sofista' platonico." Atti dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli:1-40.

  27. Crivelli, Paolo. 1990. "Il 'Sofista' di Platone. Non essere, negazione e falsità." Atti e Memorie dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria" no. 55:11-104.

    "Introduzione. Dopo sei tentativi insoddisfacenti di definire il sofista con il metodo diairetico, nella settima classificazione dicotomica Platone lo descrive come 'produttore di immagini'. Tale caratterizzazione si scontra con le difficoltà sollevate dal 'paradosso del falso', l'argomentazione che cerca di provare l'inesistenza del falso. L'ampio excursus centrale del Sofista (236d5-264d9) affronta e risolve una delle versioni del paradosso del falso. Platone riconduce la fallacia dell'argomentazione a un'errata valutazione dei rapporti tra negazione ed esistenza, e corregge lo sbaglio mediante una minuziosa analisi del significato della particella 'non'.

    La versione del paradosso del falso studiata nel Sofista può essere presentata, a meno di qualche inessenziale semplificazione, come un'argomentazione che esclude la falsità degli enunciati singolari affermativi: perché un enunciato singolare affermativo sia falso, bisogna che ciò che non è P sia detto essere P ('P' termine generale arbitrario), e quindi bisogna parlare di ciò che non esiste; ma è impossibile parlare di ciò che non esiste; di conseguenza, un enunciato singolare affermativo non può essere falso. Il passaggio critico di questa argomentazione si fonda sull'assunzione che la negazione predicativa implichi l'inesistenza: se x non è P, allora x non esiste.

    Platone ritiene (giustamente) che tale assunzione sia errata, e adotta la strategia di svelare, e quindi confutare, il ragionamento sofistico che sta a fondamento di essa. A suo avviso, tale ragionamento muove dal presupposto che la particella 'non' indichi contrarietà: dato che la copula ha portata esistenziale, la verità di un predicato nominale 'è P' rispetto a un oggetto x richiede (tra l'altro) l'esistenza di x; se il 'non' indica contrarietà, la verità rispetto a x del predicato nominale negativo 'non è P' richiede la soddisfazione di condizioni contrarie (ossia antitetiche, il più possibile lontane) rispetto a quelle che garantiscono la verità di 'è P', e quindi richiede (tra l'altro) l'inesistenza di x. Pertanto 'non è P' è vero solo di ciò che non esiste, e la negazione predicativa implica l'inesistenza.

    Platone demolisce tale ragionamento attaccandone il presupposto: il 'non' non indica contrarietà, ma solo diversità. Più precisamente: la verità del predicato nominale negativo 'non è P' rispetto a un oggetto x richiede 'solo' che x sia diverso da ciascuno degli oggetti dei quali è vero il predicato nominale 'è P', ossia (poiché la predicazione ha portata esistenziale) che x sia diverso da ciascuno degli oggetti che esistono e partecipano della proprietà significata dal termine generale 'P'.

    Ora, però, niente vieta che tra gli oggetti diversi da tutti quelli che esistono e partecipano della proprietà significata da 'P' ve ne siano di esistenti. Pertanto 'non è P' può essere vero anche di ciò che esiste, e la negazione predicativa non implica l'inesistenza. L'assunzione sulla quale si fonda il paradosso del falso è confutata.

    Platone non si limita a demolire il paradosso del falso, ma propone anche un'analisi della falsità degli enunciati singolari nella quale mette a frutto i risultati dello studio della negazione: 's è P' è falso quando s (l'oggetto del quale 's è P' parla) non è P, ossia quando s è diverso da ciascuno degli oggetti che esistono e partecipano della proprietà significata dal termine generale P.

    La versione del paradosso del falso studiata nel Sofista non dipende da uno scambio tra gli usi 'esistenziale' e 'predicativo' del verbo 'einai' ('essere'), ma da un errore nel modo d'intendere il 'non'. Ciò spiega perché la soluzione suggerita da Platone non si concentri sulla distinzione tra gli usi 'esistenziale' e 'predicativo' di 'einai' (un fatto, questo, che mette in crisi varie accreditate interpretazioni del dialogo): la distinzione tra gli usi di 'einai' non avrebbe colpito l'errore che sta alla radice del paradosso esaminato da Platone. Il problema logico più profondo studiato dal Sofista non riguarda i sensi o usi di 'einai', ma i rapporti fra negazione ed esistenza." (pp. 11-12)

  28. D'Angelo, Antonello. 1993. "Sul Sofista di Platone." Elenchos.Rivista di Studi sul Pensiero Antico no. 14:83-89.

  29. De Cecco, Daniela. 1998. "Simile, uguale, identico. Brevi annotazioni intorno all'uso Platonico in Fedone, Parmenide e Sofista." Esercizi filosofici:211-221.

  30. De Petris, Alfonso. 2005. Del vero e del falso nel Sofista di Platone. Con un saggio sul Cratilo. Firenze: Olschki.

    "In aderenza al testo, si rivisita la speculazione platonica sul vero e sul falso.

    Nel Cratilo, contro chi nega che il falso sia in quanto dice il non-essere, Socrate – posta la corrispondenza tra originale e copia, categorizzato che suoni e colori rinviano alle cose reali, essendo linguaggio e pittura imitazioni – correla il discorso all’essere delle cose, che in sé hanno sostanza, di per sé sono.

    La scoperta dell’oggettività degli enti è anche alla base del Sofista: non più sul piano logico-glottologico ma su quello ontologico, nella ricerca di una dialettica risolutiva delle aporie di una diairesi ad ambito formale. Superata la negazione parmenidea del non-essere,presupposta l’inoppugnabilità del non-essere, «in qualche modo» il falso è, perché partecipa del non-essere relativo. Platone estende al logos umano questa acquisizione teorica.

    Postulato che ragionamento e opinione partecipano del non-essere relativo, dimostra che vero e falso ricorrono anche nel discorso: vero, se dice l’essere com’è; falso, se predica il diverso dall’essere. Si pongono i fondamenti dell’analisi logica quale intesa fino all’Ottocento. Si evidenzia la rilevanza filosofico-linguistica di un epocale studio scientifico della compiuta articolazione del discorso umano.

    Si delinea la figura del sofista: opinimitatore, che non sa, nella categoria della parvenza. In seconda rappresentazione, dalla copia egli riproduce ciò che «pare»."

  31. Di Iulio, Erminia. 2020. "Á rebours: Dal Sofista a Parmenide. Platone tra «corrispondenza» e «identità»." Rivista di Filosofia Neo-Scolastica no. 112:111-125.

    Abstract. "This paper aims to develop an answer to a twofold question: in the Sophist, what does the aporetic notion of falsehood amount to, from a theoretical point of view? And, consequently, how can be theoretically defined the concept of truth Plato is rejecting in order to provide a new account of truth (and falsehood)? The two questions are, in fact, deeply related. Thus, the strategy will be as follows: firstly, the Plato’s «not-being as difference» account employed to solve the «ontological falsehood» puzzle will be recalled and its consequences examined; secondly, an analysis of the correspondence theory of truth Plato seems to endorse in the Sophist will be provided; finally, a suggestion concerning the theoretical nature of Eleatic account of truth – i.e. the account Plato is questioning – will be made."

  32. Esposti Ongaro, Michele. 2008. "Analisi nominale e analisi verbale nel Sofista di Platone." Giornale Critico di Filosofia Italiana no. 87:240-254.

  33. Ferrari, Franco. 2011. "L'anima dell'essere. Sofista 248e-249a e Timeo 30c-31a." In Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, edited by Palumbo, Lidia, 601-613. Napoli: Loffredo.

  34. ———. 2019. "« Homologia » e dialettica in Platone." Antiquorum Philosophia no. 13:23-44.

    Abstract: "According to the Republic (books VI and VII) and che Cratylus, homologia, in neither of its meanings - i.e. agreement on the one hand, and formal coherence and consistency on the other, - can be identified with philosophical knowledge (episteme), that is, with dialectic. The reason is that homologia represents a hypothetical procedure unable to reach an anhypothetical principle, and therefore to acquire certainty and truth. However, in Plato's dialogues there are numerous examples of homologia within philosophical and dialectical sections: in some cases it is fallacious homologia, which leads to unacceptable consequences (Parmenides); in other cases, instead, Plato seems to admit the existence of dialectical homologia, that its, of an agreement on a nonhypothetical principle (Sophist). Moreover, dialectic seems to display a degree of coherence superior to that of the other disciplines (i.e. mathematical sciences). The conclusion is that homologia (agreement and coherence) cannot be considered foreign to dialectic."

  35. Ferro, Antonio. 2011. Il problema della predicazione tra antichi e moderni. Il Sofista platonico e la sua fortuna nella filosofia contemporanea. Bologna: CLUEB.

    "In questa prima parte, la trattazione sarà prevalentemente diretta a una preparazione preliminare sullo state of the art nella letteratura contemporanea sul problema [della predicazione], che possa metterci in grado di valutare più accuratamente le ragioni dell’attacco davidsoniano all’autore del Sofista – il fatto che si tratti del caratteristico «uomo di paglia» non toglie che un esame della strategia di Davidson possa rivelarsi assai istruttivo." (p. 32)

    (...)

    "L’utilità di queste (lunghe) considerazioni preliminari dovrebbe risultare con chiarezza nel terzo capitolo, ragione per cui la lettura degli ultimi due capitoli, dotati di una certa autonomia, e senz’altro di maggiore interesse per gli antichisti, può essere fatta precedere a quella del primo, in cui, a partire da una disamina delle posizioni di logici e filosofi del linguaggio contemporanei si cerca di sistematizzare i diversi requisiti per una buona teoria della predicazione.

    Sono proprio questi requisiti a spiegare alcuni scrupoli teorici che informano la trattazione offerta nei capitoli finali: sulla scorta di un principio di carità interpretativa minimale, abbiamo preferito non attribuire a Platone tesi filosofiche sulla predicazione banalmente false, assurde, non sufficientemente generali, o particolarmente controverse agli occhi di un filosofo contemporaneo.

    Questo non significa ovviamente che abbiamo proceduto a retrodatare al IV sec. a.C. sofisticate teorie contemporanee della predicazione: piuttosto, all’unico scopo di raggiungere il massimo grado di chiarezza, ci è parso legittimo e sensato proiettare sul dialogo – in particolare, su quei passi “linguistici” dell’opera che solleciterebbero l’attenzione anche di un filosofo moderno – requisiti di adeguatezza basilari e preoccupazioni teoriche anche più tarde, ferma restando la priorità assoluta per lo storico (cioè, per chi scrive) di leggere il dialogo privilegiando temi e problemi che sembrano suscitare l’interesse di Platone." (p. 32)

  36. Franchi, Leonardo. 2020. "Considerazioni sulla presenza di Parmenide nel Sofista di Platone (Soph. 236 D-241 B)." La Cultura no. 58:177-195.

  37. Friedländer, Paul. 2004. Platone. Milano: Bompiani.

    lntroduzione di Giovanni Reale. Traduzione, note e apparati di Andrea Le Moli.

    Libro secondo, Capitolo XXVI: Sofista, pp. 975-1014.

    "Sappiamo che il compito di chiarire il significato dello pseudos (la falsità, l'inganno, la menzogna) impegnò Platone sin dai suoi esordi come filosofo. Tale compito non è un interesse particolare derivato da un problema logico di difficile soluzione. Esso lo occupò perché (per parlare nel linguaggio concreto del Sofista) in questa oscurità e confusione si nasconde ogni sofistica e ogni eristica - tutto ciò, in altre parole, che è ostile alla filosofia e che, a causa della sua pericolosa somiglianza con quella, minaccia la reputazione della filosofia e la vita del filosofo. Persino una delle prime opere platoniche, l'Ippia minore, si rivolge al problema dell'inganno, volontario e involontario, sofistico e socratico. In seguito, con il Cratilo, il linguaggio diviene strumento dell'illuminazione positiva. Già lì (Cratilo, 431 BC; cfr. 385 BC) il discorso è descritto come «composizione» [Zusammenstellung] di nome e verbo. Nel Sofista esso è !'«intreccio » dei due e questo cambiamento è più di una semplice differenza di espressione. (p.1012)

  38. Fronterotta, Francesco. 1995. "L'essere e la partecipazione dei diversi nel Sofista di Platone." La Cultura no. 33:117-157.

  39. ———. 2004. "Pensare la differenza. Statuto dell'essere e definizione del diverso nel Sofista di Platone." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 39-64. Milano: Albo Versorio.

    "È certamente vero che il Sofista affronta per la prima volta nel suo insieme il problema della partecipazione o della comunicazione fra i generi ideali, per fornirgli una soluzione che Platone sembra considerare in qualche modo definitiva. Abitualmente, si tende a dire che la soluzione del problema consiste nell'elaborazione del genere del diverso, come pure nell'elaborazione del genere del diverso consisterebbe la soluzione dell'altra grande aporia che il Sofista si propone di risolvere, quella relativa al non essere, alla sua pensabilità e alla sua dicibilità. In realtà, le cose non stanno propriamente così. Di per sé, l'elaborazione del genere del diverso, il diverso come tale, non risponde affatto né al problema della κοινωνία dei generi né al problemadel non essere, perché, di per sé, il diverso non coincide con il non essere (e non lo rende perciò pensabile e dicibile) né si pone come l'esclusiva chiave di volta per la comprensione della struttura e della composizione della κοινωνία dei generi. Non a caso, la lettura del testo indica chiaramente che la soluzione di questi due problemi risiede piuttosto in quella che lo Straniero di Elea, che conduce la discussione, individua come la totale "compenetrazione" di essere e diverso, per tre volte a breve distanza ribadita." (pp. 39-40 due note omesse)

    (...)

    "Ciò significa senza dubbio, a mio avviso, che una corretta comprensione dei fondamentali problemi affrontati nel Sofista, con la loro eventuale soluzione, dipende precisamente dai due termini, essere e diverso, di cui il dialogo afferma, argomenta e dimostra ripetutamente l'unione e la mescolanza.

    Cercherò in quanto segue di presentare alcune riflessioni intorno allo statuto e alla definizione di questi due termini, lasciando invece da parte - se non per servirinene come occasionale punto di partenza dell'esame i delicati problemi del non essere e della κοινωνία dei generi cui essi sono chiamati a dare risposta nel Sofista." (p. 41)

  40. ———. 2011. "Dialettica et διαίρεσις nel Sofista platonico." In Formal Structures in Plato's Dialogues: Theaetetus, Sophist and Statesman, edited by Lisi, Francesco Leonardo, Migliori, Maurizio and Monserrat-Molas, Josep, 151-167. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    "Ci si deve forse rassegnare a riconoscere la complessità irriducibile del metodo e l’assenza di un obiettivo univoco e ben definito, perché, se la dialettica fornisce nella sua applicazione (1) la mappa, parziale o totale, delle relazioni fra i generi ideali, con il fine di far emergere quali generi comunichino e quali non comunichino con quali altri, disegnando così (2) la rete di significati di cui sono intessuti il pensiero e il discorso, e perciò in generale il sapere e il giudizio, potremo anche ricavare per questa via (3) il Λόγος definitorio relativo a ciascun genere e l’insieme di tali λόγοι avrà (4) un tratto indubbiamente classificatorio." (p. 167)

  41. ———. 2015. "Il non essere e la strategia dello Straniero di Elea. Deduzione o rimozione." Rivista di Storia della Filosofia no. 70:143-162.

    Abstract: "In this paper the Author examines the problem of not-being in Plato’s Sophist. “Notbeing” is closely connected in Plato’s Sophist with the notion of the “other” or “difference” since not-being can be understood as “not-being something”, that is, as “different from” something. In fact, what “is not” beautiful, for example, is not only what is “contrary” to beautiful but also what is “different” from beautiful. Thus, the “other” introduces and explains the notion of a relative “not-being” as “different” from what it is. The Author puts this idea at the center of the analysis in an attempt to verify its coherence and legitimacy and establish some connections with two contemporary thinkers, Meinong and Frege, who clearly depend on Plato’s reflections on this point."

  42. ———. 2018. "“Movimento, vita, anima e intelligenza”, la σεμνότης del παντελῶς ὄν nel Sofista platonico. Nota a margine di P.-M. Morel, L’argomento delle “venerabilità dell’essere” e la sua fortuna." Antiquorum Philosophia no. 12:27-36.

    Abstract: "In this note I discuss Pierre-Marie Morel's article L'argomento della 'venerabilità dell'essere' e la sua fortuna published in this same volume (see pp. 11-16) on Soph. 248e-249a, trying to develop his interpretation of this passage and the conception of being it implies. I also examine Morel's reconstruction of some steps of the exegetical history and reception of this passage in the history of Ancient Platonism, with reference to Aristotle and Plotinus."

  43. ———. 2020. "Panteles zōion e pantelōs on: Vita, anima e movimento intellegibile nel Timeo (e nel Sofista)." In Plato’s Timaeus: Proceedings of the Tenth Symposium Platonicum Pragense, edited by Jorgenson, Chad, Karfík, Filip and Špinka, Štĕpán, 49-69. Leiden: Birll.

    Abstract. "In this article, I try to propose some reflections about the nature and status of the intelligible in the Timaeus, particularly with respect to its features of a properly being and above all vital reality. The attribution of “life” and “vitality” to the intelligible certainly has an analogical character, that is, it depends on the consideration of the sensible: since the cosmos is a sensible living being and is a copy of an intelligible model, then the intelligible model must be configured as an intelligible living being. Now, to be “living”, for a sensible reality, means to have a soul that animates a body, that is a soul which is embodied; but this seems to apply only in the case of the sensible. What does it mean, then, and what does it entail, to be “living” for an intelligible reality? Some interpretative hypotheses on this point are examined here and a possible overall explanation is suggested."

  44. Grimaudo, Sabrina. 2012. ""Un conflitto intestino e una malattia dell’anima“ ΝΟΣΟΣ E ΣΤΑΣΙΣ nel Sofista di Platone (Soph. 228 A 7–8)." Philologus no. 156:3-16.

    Abstract: "In Sophist 228a7–8 the reading of Plato’s manuscripts διαφορᾶς διαφϑοράν is defended on the basis of a reconsideration of the Galenic passages of De placitis Hippocratis et Platonis (V 2, p. 302, 18–19 and V 3, p. 310, 26 De Lacy) usually advanced in order to maintain that it is corrupt and is to be changed into in διαφϑορᾶς διαφοράν. The analysis of several other passages of the Platonic corpus concerning στάσις and νόσος, and the comparison with Plutarch’s De Stoicorum repugnantiis 1041b, which shows a textual history very similar to the considered passage of Plato’s Sophist, further support the reading in the manuscripts."

  45. Grondona, Mauro. 1956. "La dialettica nel Sofista di Platone." Atti della Accademia delle Scienze di Torino. 2, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche no. 91:261-319.

  46. Guglielminetti, Enrico. 2012. "Gemelli diversi: Sulla 'piccola differenza' tra il sofista e il filosofo." Spazio Filosofico:115-124.

    Abstract: "A little mystery is contained in the prologue to the Sophist. It is not completely clear why Plato mentions Homer. The Homeric quotations that are employed appear rather poorly chosen given that, while attempting to grasp the essence of the philosopher, to which they refer, they seem to bring it to a disquieting proximity with the essence of the sophist. More specifically, in the Republic Plato sharply criticizes Homer: “Then let no poet ... say that ‘The gods, in the likeness of strangers from foreign lands,/ Adopt every sort of shape and visit our cities’” (Rep. 381d1-4). The same quotation, which comes from Odyssey 17, 485-486, is used in the prologue to the Sophist to define philosophers—not faked philosophers, but rather authentic ones. What has happened meanwhile? Has Plato changed his mind? Or is it the case of a different use of the same quotation? And, in this hypothesis, why could the very same quotation apply equally well to the sophist (or the poet) as well as to the philosopher?"

  47. Le Moli, Andrea. 2002. "Platone e l'essere in comune. Figure della relazione dal Sofista alle Leggi." Studium Philosophicum no. 1:89-106.

  48. Lettieri, Gaetano. 1993. "L'esegesi neoplatonica dei generi sommi del Sofista: Plotino e Mario Vittorino." Annali di storia dell'esegesi no. 10:451-493.

  49. Li Volsi, Rocco. 2002. "Il Sofista di Platone." Giornale di Metafisica no. 24:177-234.

  50. Licata, Gaetano. 2002. "Il vero e il falso in Platone." Studium Philosophicum no. 1:107-128.

    "Nel Cratilo, aprendo la confutazione del convenzionalismo proposto da Ermogene, Socrate domanda al proprio interlocutore: "Chiami qualcosa dire il vero e dire il falso ( ἀληθῆ λέγειν καὶ ψευδῆ)?" (385b 2) (1); esiste qualcosa il cui nome è "dire il vero" e qualcosa il cui nome è "dire il falso"?

    Naturalmente il senso effettivo della domanda riguarda la differenza: in cosa consiste la differenza fra il discorso vero e il discorso falso? Risponde Ermogene: "il discorso vero è quello che dice le cose come stanno, il discorso falso è quello che dice le cose come non stanno" (385b 2-8) (2) La risposta platonica lega la verità dell'espressione linguistica alla relazione con la realtà, ma il modo in cui debba attuarsi tale relazione, come vedremo, è problema di non facile soluzione. In questa ricerca tenteremo di chiarire i rapporti fra le due diverse soluzioni - l'una nel Cratilo, l'altra nel Sofista - che Platone appronta per questo problema, al fine di determinare meglio il concetto platonico di Àoyor,, e per confrontare due atteggiamenti teorici nei confronti del problema della rappresentazione linguistica della realtà che ancora oggi si mescolano e si oppongono in semantica e in filosofia del linguaggio." (p. 107)

    (1) L'edizione critica di riferimento utilizzata per i dialoghi di Platone è Platonis Opera, recognovit brevique adnotatione critica instruxit J. Burnet, Oxford, 5 voll., 1900-1907.

    Secondo Schofield l'argomento del vero e del falso (385 b2-d1) non può essere la confutazione della tesi di Ermogene, per cui andrebbe spostato e posto fra 387c 5 e 387c 6; M. Schofield, The Dénouement of the Cratylus, in Language and Logos: Studies Presented to G.E.L. Owen, edited by M. Schofield and M. Nussbaum, Cambridge 1982: PP· 61-81.

    (2) A. Soulez rinviene nell'argomento del vero e del falso il punto iniziale dell'analisi platonica della contrapposizione fra i sostenitori della stabilità dell'essenza e quanti pensano al divenire come ad un flusso continuo che non permette né una

    conoscenza stabile né una nominazione vera e propria: "L'important était de mettre d'abord en lumière que la distinction entre le vrai et le faux, sur laquelle sans le savoir Hermogène s appuie lorsqu'il prétend 'avoir raison' en matière de Justesse, présuppose que la dénomination est ontologiquement garantie. 'Dire vrai' est une chose et 'dire faux' en est une autre parce que le logos s'applique à de l'être stable." A. Soulez, La grammaire philosophique chez Platon, Paris 1991, pp. 52-3.

  51. ———. 2002. "Nome e conoscenza in Platone." Studium Philosophicum no. 1:9-22.

    "1. Nome e idea

    In che modo, a parere di Platone, i nomi si riferiscono alle cose? In che modo, problema per Platone molto più importante, i nomi ci fanno, o ci farebbero conoscere le cose? La risposta a questi interrogativi, a nostro modo di vedere, è da ricercare nel Cratilo - nella sterminata confutazione di Ermogene e nella prima sezione della confutazione di Cratilo (384c 9-433 b 7) - , ma anche nella teoria della definizione delineata nel Sofista. I diversi punti di vista espressi da Platone sul concetto di nome devono essere sottoposti ad una considerazione che tenga conto dell'esigenza di dare unità e coerenza alla spiccata complessità concettuale dell'idea platonica di òvoμα; questo perché, all'epoca in cui scrisse le Leggi, quasi sicuramente l'ultimo fra i dialoghi(1), il filosofo aveva in mente un concetto sufficientemente determinato, e sufficientemente unitario, di nome. Il nostro tentativo, è bene puntualizzarlo fin d'ora, non ci darà, pronta per l'uso, l'essenza del nome: la ricerca dell'essenza infatti non ha termine. Dal momento però che è stata nominata diciamo subito che, in Platone, la ricerca dell'essenza è molto vicina alla ricerca del nome: il nome e l'essenza, nella loro vicinanza, rimandano ad una irraggiungibilità che è stata intesa come segretezza; come se il nome rivelasse l'essenza con lo stesso movimento col quale la mantiene segreta." (p. 9, una nota omessa)

    (1) Cfr. L. Brandwood, The Chronology of Plato's Dialogues, Cambridge 1990.

  52. Lo Casto, Claudia. 2019. L'essere come dynamis. Heidegger interprete del Sofista di Platone attraverso Aristotele. Pisa: Edizioni ETS.

  53. Maggi, Claudia. 2017. "Il 'qualcosa' in Soph. 237c e in Enn. VI 6." In Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, edited by Muni, Andrea, 17-28.

    "IL TI E L’ ὌN IN SOPH. 237C. Obiettivo di questa nota sarà, a partire da una proposta di lettura relativa a una breve sezione del Sofista, sondare la ridefinizione semantica del τι e dell’ὄν nel trattato plotiniano Sui numeri. La mia indagine esula, ovviamente, da una più vasta considerazione del dominio dei due termini nella riflessione dei due filosofi; intendo, più semplicemente, provare a verificare come la costellazione lessicale che gravita attorno all’ὄν possa mutare nel momento in cui si ammetta, con Plotino, che la sua natura intrinsecamente molteplice rinvia a una unità originaria che la fonda e la precede metaontologicamente." (p. 17)

  54. Magri, Elisa. 2015. "Holon e Heteron. Osservazioni per un collegamento fra il Teeteto e il Sofista." Journal of Ancient Philosophy no. 9:34-66.

    Abstract "It is noteworthy that both in the Theaetetus and in the Sophist Plato aporetically introduces the notion of holon. The author argues that it is possible to outline a connection between the two dialogues by focusing on the methodological relevance of holon and heteron. Several hints contained in the Theaetetus suggest that Plato conceives of holon as a method of dialectical thinking, underlying the process of soul’s reasoning. The Theaetetus presents this notion ex negativo due to the lack of distinction between difference (heteron) and negation (not being). By contrast, the Sophist shows that heteron is the read thread guiding the dialectics of forms as well as the communication between the soul and the eidetic sphere. Accordingly, the Sophist entails that the process of soul’s reasoning is correlative to the eidetic horizon in so far as they both rely on a holistic methodology that is activated by the quest for the difference."

  55. Marrucci, Elia. 2020. "Filiera tessile e dialettica conoscenza tecnica ed impieghi analogici nella seconda tetralogia platonica." Dialogues d’ histoire ancienne no. 46:105-121.

    Abstract: "Nel presente contributo ho intenzione di mostrare la continuità tra l’impiego paradigmatico della filiera tessile nel Sofista e nel Cratilo e l’impiego che Platone ne fa nel Politico. Nella prima parte di questo contributo evidenzierò la perfetta conoscenza da parte di Platone delle singole procedure in cui si articola la filiera e la sua diffusa presenza all’interno del corpus. Nella seconda parte, attraverso l’analisi e l’intreccio di passi provenienti da Cratilo, Teeteto, Sofista e Politico, tenterò di dimostrare l’esistenza nella seconda tetralogia di un filo rosso legato all’impiego paradigmatico della filiera tessile e necessario all’illustrazione della natura e dei campi applicazione dell’arte dialettica. In conclusione di contributo tenterò di dimostrare come la scelta della filiera tessile come paradigma del metodo dialettico da parte di Platone dipenda dalla cosciente ripresa da parte del filosofo di un arcaico paradigma tecnico-artigianale della produzione poetica, in linea con le intenzioni didascaliche della sua riflessione filosofico-politica."

  56. Meo, Oscar. 2016. "Lo statuto ontologico dell'immagine in Platone." In In cammino verso la casa della sapienza, edited by Ross, Paolo Aldo and Li Vigni, Ida, 161-191. Aicurzio: Gruppo Editoriale Castel Negrino.

    "L’indagine di Platone intorno allo statuto ontologico dell’immagine è poliprospettica. Nei testi fondamentali per lo studio della questione, la prima parte del Libro X della Repubblica (ma, come si vedrà, un rilievo non marginale lo hanno anche la fine del Libro VI e l’inizio del VII) e il Sofista1, alcune fra le maggiori difficoltà si incontrano sul piano dell’approccio semasiologico, giacché egli utilizza per designare l’immagine diversi termini, che si alternano e si sovrappongono semanticamente nella prima opera, mentre – sia pure con qualche oscillazione – appaiono abbastanza differenziati nella seconda: eikón, eídolon e phántasma." (p. 161, a nota omessa)

  57. Migliori, Maurizio. 1999. "Verso il Filosofo: dialettica e ontologia nel Sofista Platone." Rivista di Filosofia Neo-Scolastica no. 91:171-204.

    "Dovendo affrontare un tema così vasto e un dialogo tanto complesso, vorremmo limitarci a svolgere la nostra analisi sulla base di tre domande:

    a) perché proprio nel Sofista troviamo questa specifica trattazione sull'essere?

    b) ci sono altre trattazioni analoghe a questa?

    c) che cosa Platone pensava dell'essere?

    A tali domande cercheremo di rispondere sulla base di tre riflessioni:

    1. il senso della collocazione del Sofista; crediamo infatti che l'Autore ci abbia offerto una vera e propria indicazione di lettura, che brilla per la sua 'unicità'; seguendola, è possibile comprendere meglio la specificatrattazione del dialogo e la stessa struttura dell'opera;

    2. l'indicazione dialettica che in questo quadro emerge; infatti, non solo lo stesso inserimento del dialogo nel contesto delle altre opere obbedisce a uno schema diairetico, ma la dialettica è, a un tempo, un tema da sviluppare e lo strumento per chiarire gli argomenti affrontati in questo blocco di dialoghi;

    3. la metafisica che emerge dalla trattazione centrale dell'opera; crediamo infatti che occorra mostrare il peso, in verità molto relativo, che Platone attribuisce alla tematica dell'essere e del non essere. (pp. 171-172, note omesse)

  58. ———. 2004. "Non è l'ontologia il vero cuore del Parmenide e del Sofista." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 65-94. Milano: Albo Versorio.

    "Premetto subito due chiarimenti: a) uso il termine "ontologia" nel suo senso pregnante, come teoria dell'essere; b) questo articolo, come indica il titolo, indaga il "cuore teoretico" dei due dialoghi, cioè la questione centrale sul piano della concezione della filosofia e della visione del reale che Platone propone." (p. 65)

    (...)

    "La domanda che propongo è quindi se ci sia in Platone, e in particolare in questi due dialoghi, una centralità dell'ontologia o se questo appaia in tanta letteratura secondaria come frutto di una sorta di fenomeno proiettivo.

    Per tentare di dimostrare tale assunto, devo necessariamente cercare di rispondere in modo adeguato a due domande:

    Quali sono i passi di Platone che giustificano la mia affermazione?

    Qual è allora il centro teoretico dei due dialoghi in questione?" (p. 65)

  59. ———. 2007. Il Sofista di Platone. Valore e limiti dell'ontologia. Brescia: Morcelliana.

    "Due sono stati negli ultimi decenni i modelli interpretativi della filosofia platonica: un modello, ispirato a Schleiermacher, ha privilegiato l'interpretazione cronologica dei dialoghi, l'altro, proprio delle scuole di Tubinga e Milano, ha reinterpretato tutto Platone alla luce delle «dottrine non scritte». Come per sottrarsi a unilateralità ermeneutiche, l'autore di questo volume legge «il corpus platonico come un vero e proprio "protrettico" che propone filosofia per costringere il lettore a trovare soluzioni sulla base di poche indicazioni, il che implica la proposta di difficoltà crescenti che via via nello svolgimento delle opere selezionano i "veri filosofi". Platone appare convinto socraticamente che la filosofia è lavoro comune e scoperta. Ciò dà luogo a un insegnamento che, sempre, ma soprattutto nella forma scritta, avvicina al vero senza rivelarlo, comunica informazioni vere che non sono tout court la verità, ma che richiedono la partecipazione, l'elaborazione e lo sviluppo da parte del lettore». Un modello messo qui alla prova nella disamina del Sofista: ad assumere inaspettati significati sono i suoi punti più controversi (la dialettica come esercizio diairetico, il parricidio di Parmenide, la scoperta del non-essere in quanto "diverso")."

  60. Mignucci, Mario. 1989. "Esistenza e verità nel Sofista di Platone." Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli no. 100:267-281.

  61. Morel, Pierre Marie. 2018. "L’argomento delle “venerabilità dell’ essere” e la sua fortuna (Aristotele e Plotino, eredi di Platone, Sofista, 248c-249a)." Antiquorum Philosophia no. 12:11-26.

    Abstract: "In a famous passage of Plato's Sophist (248e-249a), The Stranger addresses the question of the activity of the perfect being: is it deprived from change, life, soul and understanding? Does it stand immutable, holy and solemn (semnos), devoid of intellect? There is an issue about whether this text is to be taken seriously. The present article analyses how this passage (and especially the word semnos) has been read after Plato, mainly by Plotinus but also by Aristotle (and hypothetically by Epicurus). In particular, it is argued that, despite is obscurity, the idea of solemnity plays a major role in Plotinus, but with different purposes, depending on the context, and in an ambiguous way. Generally speaking, the legacy of Plato's passage is much more a question (is it possible to deprive that which is perfectly real from activity?) or even an aporia than a positive claim regarding the properties of being. This is probably the best way to read the passage, and to take it seriously."

  62. Movia, Giancarlo. 1985. "il Sofista di Platone: dal problema dell'essere al principio teologico." In Sapienza antica: studi in onore di Domenico Pesce 192-216. Milano: Franco Angeli.

  63. ———. 1988. "La diairesi nel Sofista." Rivista di Filosofia Neo-Scolastica no. 80:501-548.

  64. ———. 1991. Apparenze essere e verità: commentario storico-filosofico al Sofista di Platone. Milano: Vita e Pensiero.

    "L'adesione convinta al nuovo paradigma ermeneutico degli scritti di Platone [*] non mi è servita da comoda scorciatoia per evitare la serie infinita di problemi che, come tutti sanno, un qualunque dialogo platonico suscita (specialmente se si tratta di un dialogo "sistematico" o, se preferiamo dir così, "critico-dialettico"). Piuttosto, il nuovo paradigma mi ha offerto un quadro unitario di riferimento entro cui collocare le varie dimensioni teoriche che percorrono il testo. In realtà, è il testo stesso, almeno in un punto davvero cruciale, che subordina la dottrina metafisico-ontologica dei generi sommi alla dottrina metafisico-protologica dei principi. Né l'Essere né l'Identico sono l'Uno, ma partecipano dell'Uno, e, analogamente (si dovrebbe dire), né il Non-Essere né il Diverso sono essi stessi la Diade indefinita, il principio di molteplicità, ma rappresentano soltanto alcune delle sue prime "concretizzazioni" ideali.

    In questa visuale interpretativa, la lettura del Sofista richiede, per così dire, un'attenzione e un impegno bivalente: uno negativo ed uno positivo. Per un verso, bisogna rinunciare a privilegiare il nostro dialogo, e in particolare l'excursus ontologico sui generi sommi, quasi fosse il depositario della dialettica globale e della verità filosofica integrale di Platone.

    (Per parte sua, come sappiamo, Hegel, probabilmente anche a motivo di un "incidente" filologico, [**] giungerà a porre il Sofista, col Filebo, addirittura al di sopra del Parmenide, nella misura in cui, come egli crede, il nostro dialogo tematizza esplicitamente l'unità dialettica degli opposti). Per un altro verso, bisogna minuziosamente esplorarlo in ogni sua piega più riposta, per evidenziare tutti i suoi (notevolissimi) contributi teorici.

    In ogni caso, la lettura qui proposta àncora saldamente allo spessore metafisico della dottrina delle idee (e dei principi) i vari tipi di approccio al testo che sono stati effettuati e ai quali ho cercato di prestare la massima attenzione critica possibile. Mi riferisco, in particolare, all'approccio dialettico-epistemologico, incentrato sul problema della diairesi e delle tecniche e sulla componente etico-politico-retorica del dialogo, nonché all'approccio logico-linguistico, con le connesse interpretazioni intensionali ed estensionali della dottrina delle idee da un lato, e le analisi della funzione sintattica e del contenuto semantico dei "nomi" associati ai sommi generi dall'altro." (pp. 31-32)

    [* Il "nuovo paradigma ermeneutico" è quello della scuola di Tubinga-Milano (Krämer, Gaiser, Reale, Szlezák)]

    [** Berti documenta anche che il tentativo di Hegel (cfr. Lezioni di Storia della filosofia, trad. di E. Codignola e G. Sanna, II, Firenze 1964, pp. 220 ss.) di ridurre l'elenchos platonico alla contraddizione dialettica dipende da un errore di traduzione di 259 D I s. (rilevato, peraltro, già da Campbell, L. Campbell, [in The Sophistes and Politicus of Plato, with a Revised Text and English Notes by L. C., Oxford 1867 (rist. 1973)], pp. LXXXIX e 166) e risalente a Marsilio Ficino.] (p. 421)

    Il riferimento ad Enrico Berti è: "Hegel la ritrova [la dialettica] nel Sofista, dove non ci sono più le complicazioni del Parmenide, cioè lo sviluppo di ipotesi opposte, ma c'è anzi, secondo Hegel, l'affermazione diretta dell'identità di essere e non essere, anzi addirittura di identico e diverso. Naturalmente questa interpretazione è possibile solo al prezzo di ignorare le reiterate affermazioni, da parte di Platone, del p.d.n.c. [principio di non-contraddizione], ed al prezzo di un almeno apparente errore di traduzione, dovuto probabilmente all'influenza del neoplatonico Marsilio Ficino, grazie al quale si fa dire a Platone che ciascuna cosa è insieme identica e diversa « sotto il medesimo riguardo», mentre Platone dice esattamente l'opposto.(80)"

    (80) G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. di E. Codignola e G. Sona, Firenze 1964 2 edizione, II, pp. 220-223. Su ciò abbiamo già richiamato l'attenzione nel capitolo su Platone (v. sopra, p. 98). Va detto, in ogni caso, che il testo di Michelet [delle Lezioni sulla storia della filosofia] su cui si basa la traduzione non è attendibile, perciò non si può imputare l'errore senz'altro a Hegel.

  65. ———. 1991. Il "Sofista" e le dottrine non scritte di Platone. Napoli: Istituto Suor Orsola Benincasa.

    Ristampato in: Giovanni Reale (a cura di), Verso una nuova immagine di Platone, Milano: Vita e pensiero, 1994, pp. 225-249.

  66. Napolitano, Linda M. 1979. "Caratteri e significato della dialettica nel Sofista platonico." Verifiche no. 8:365-394.

  67. ———. 2011. "Teodoro, Teeteto, Socrate il Giovane. I matematici deuteragonisti nei Teeteto, Sofista e Politico." In Formal Structures in Plato's Dialogues: Theaetetus, Sophist and Statesman, edited by Lisi, Francesco Leonardo, Migliori, Maurizio and Monserrat-Molas, Josep, 72-83. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    Abstract: "Sono note le figure storiche dei matematici – appunto Teodoro, Teeteto e Socrate il Giovane - deuteragonisti nei dialoghi indicati: si può perciò, per tale aspetto, riferirsi alla letteratura classica relativa (fra gli altri E. Sachs, Th. Heath). Accogliendo però la recente ipotesi ermeneutica di E. Ostenfeld, che tutti i personaggi dei dialoghi in qualche modo e misura “parlino per Platone”, è interessante e utile esaminare il ruolo filosofico problematico ivi svolto da tali matematici. Va chiarita anzitutto la ragione per cui proprio costoro siano, volta a volta e in modo certo disomogeneo, interlocutori adeguati rispettivamente di Socrate e dello Straniero per il problema centrale discusso nelle tre opere e se tale ragione resti poi costante, per ognuno di tali personaggi, da una all’altra di esse. Vanno approfondite in particolare le ragioni del lusinghiero giudizio pronunciato – nel Teeteto e nel Sofista - sul giovane matematico ateniese (che farebbe, seppur nella bruttezza, da “specchio” allo stesso Socrate e che è simile, per alcune doti ascrittegli, perfino al filosofo-re della Repubblica); va chiarito il senso filosofico del suo allenamento a “raccogliere in uno” e a “bipartire” poi i materiali aritmetico-geometrici, procedura che lo avvicina alle pratiche dialettiche della sunagoghè e della diàiresis; va discusso il motivo per cui, nel primo dialogo, proprio lui discuta con Socrate una teoria dell’àisthesis di stampo protagoreo più adeguata forse, storicamente, al suo maestro, il cireneo Teodoro. Va delineato il compito specifico anche di tale autorevole figura nel Teeteto (capacità di giudicare la virtù e saggezza delle anime) e nel Sofista e quello di Socrate il Giovane, solo citato nei primi due dialoghi e chiamato invece, nel Politico, a sostituire Teeteto quale deuteragonista. Sempre tenendo presente ed evitando di banalizzare e forzare gli specifici contesti drammatici dei tre testi, va indagato infine se siano i loro contenuti filosofici complessi (la conoscenza e i limiti del relativismo, il falso e il non essere, la figura del politico) o piuttosto il metodo dialettico ormai maturo in essi impiegato a legittimare o forse perfino ad esigere dei matematici quali interlocutori di un Socrate ormai vecchio, al quale però già nel secondo dialogo subentra, quale protagonista, un significativo e non meno problematico Straniero di Elea."

  68. Napolitano Valditara, Linda M. 2007. Platone e le 'ragioni' dell'immagine. Percorsi filosofici e deviazioni tra metafore e miti. Milano: Vita e Pensiero.

    Capitolo 4: pp. 137-211.

  69. O'Brien, Denis. 1992. "Il non-essere e la diversità nel Sofista di Platone." Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli no. 102:271-328.

    Versione francese in: D. O'Brien: Le non être. Deux études sur le Sophiste de Platon, pp. 43-165.

    "Platone [nel Sofista] non intende confutare Parmenide: questa tesi sembrerà, sulle prime, paradossale ed anche un po' assurda. All'inizio della sua analisi del non essere (237 A), lo Straniero di Elea non ha forse citato dei versi in cui Parmenide condanna il non essere (nostro fr. 7 .1-2), e alla fine della sua analisi (258 D) non ha forse citato una seconda volta gli stessi versi, e affermato al tempo stesso (258 C6-10) di essersi « molto allontanato » dalla condanna pronunciata da Parmenide? Come dunque, esprimendosi in questo modo, egli non avrebbe confutato l'insegnamento espresso nei versi citati?

    Notiamo tuttavia che nelle due pagine che seguono la prima citazione di Parmenide (237 B7-239 C8), Teeteto e lo Straniero convengono sul fatto che, conformemente alla dottrina enunciata nei versi appena citati, non si può concepire « ciò che non è in nessun modo » ( τὸ μηδαμῶς ὂν , 237 B7-8), il « non essere in se stesso » (τὸμὴὂν αὐτὸ καθαὑτό, 238 C9). Se lo Straniero ritenesse di aver « confutato » Parmenide, ci si dovrebbe aspettare di trovare in qualche luogo, nello svolgersi del dialogo (239 C9 sgg.), una ritrattazione - da parte dello Straniero e di Teeteto - della condanna di questo non essere per così dire « assoluto ».

    Ora, una simile ritrattazione non si trova in nessuna parte del dialogo; tutt'al più si troverà, nelle linee che seguono la seconda citazione dal poema parmenideo, una distinzione: lo Straniero afferma di aver dimostrato l'esistenza di una « forma» del non essere (258 D5-E3), ma afferma anche, nella stessa pagina (258 E6-259 Al), che non « osa» minimamente parlare di un non essere che sarebbe il contrario dell'essere.

    Ci si domanda allora: di questi due « non esseri » qual è quello condannato da Parmenide? È quello che lo Straniero chiamerà la « forma » del non essere? O quello che chiamerà il contrario dell'essere?" (p. 272)

  70. ———. 2005. "La forma del non essere nel Sofista di Platone." In Eidos - Idea. Platone, Aristotele e la tradizione platonica, edited by Fronterotta, Francesco and Leszl, Walter, 115-159. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    "«Una forma che è, di ciò che non è». La definizione platonica del non essere (Soph. 258d6-7) è volutamente paradossale. Ma ciò che si trova nella maggior parte delle storie della filosofia greca non è un paradosso, ma un pasticcio che rasenta la sciocchezza. E questo perché la presentazione che gli storici moderni forniscono della forma platonica del non essere è basata su una serie di errori.

    H lungo e complesso argomento che conduce alla definizione di una forma del non essere nel Sofista platonico si conclude, nella maggior parte delle edizioni moderne del dialogo (258e2-3), con una sequenza di parole che non si trova in nessuno dei nostri manoscritti. Anche nel primo volume rivisto delle opere di Platone, recentemente pubblicato presso Clarendon Press a Oxford, si trova stampato, al posto delle parole unanimemente riportate dai nostri tre migliori e più antichi manoscritti, una lezione che è data soltanto da Simplicio nella seconda di due citazioni di questa parte del Sofista contenute nel suo commento alla Fìsica di Aristotele. La definizione di una forma del non essere, così come appare nella seconda delle due citazioni di Simplicio, non è di per sé priva di senso, ma appare completamente fuori luogo nel contesto del dialogo platonico. E questo perché la sequenza di parole che Simplicio riporta qui come tratte dal Sofista è stata chiaramente adattata in modo tale da rendere la definizione platonica del non essere compatibile con la ben diversa concezione del non essere avanzata da Plotino nelle Enneadi (1).

    Ma questo è soltanto uno degli errori. Il portavoce nel dialogo di Platone è uno Straniero di Elea. Quando si propone inizialmente di indagare la natura di ‘ciò che non è’, lo Straniero deve confrontarsi con la spiegazione del non essere fornita oltre cento anni prima in un poema in cui Parmenide, anch’egli di Elea, affermava di riportare le parole di una dea situata oltre le porte della Notte e del Giorno. Al principio della sua analisi del non essere, lo Straniero di Platone cita dal poema di Parmenide le parole: «le cose che non sono, sono» (237a8). Grazie a lunghe citazioni di Simplicio dal poema originale di Parmenide, sappiamo che, nel loro contesto (fr. 7.1), quelle parole intendevano fornire il contraddittorio resoconto di ciò che la dea afferma essere il mondo illusorio del movimento e della pluralità che noi ‘mortali’ crediamo di vedere e di sentire intorno a noi. Lo Straniero del dialogo platonico ci dice che quelle stesse parole, soltanto al singolare (237a3-4: «ciò che non è, è»), costituiscono «ciò che Parmenide άπεμαρτύρατο». Se si cerca il verbo άπεμαρτύρομαι nel Greek English Lexicon, pubblicato a Oxford in successive edizioni per ben oltre un secolo e mezzo, si trova che il significato indicato, con specifico riferimento al nostro passo del Sofista, è ‘asserire risolutamente’(2) L’affermazione dello Straniero, allora, deve essere che Parmenide «asseriva risolutamente» che «ciò che non è, è». Ma nel contesto del poema parmenideo il senso che il termine deve avere è esattamente l’opposto. La dea del poema parmenideo nega che le cose che non sono, siano. Il senso del verbo nel dialogo di Platone non è dunque ‘asserire risolutamente’, ma ‘negare recisamente’.

    Gli errori che caratterizzano la lettura del dialogo platonico sono piuttosto seri. Ancor più disastrosi sono gli errori che insidiano la moderna comprensione di ciò che Parmenide intendeva nel poema che Platone ha posto come punto di partenza della propria analisi. I commentatori attribuiscono comunemente alla dea di Parmenide, al principio del suo argomento (fr. 2), due proposizioni: ‘l’essere è’ e ‘l’essere non è’. Talvolta, essi modificano la seconda proposizione, in modo che a essere negato è il soggetto e non il verbo. Le due proposizioni sono in tal caso: ‘l’essere è’ e ‘il non essere è’(3). La variazione è abbastanza straordinaria. Come è possibile che studiosi diversi diano due significati così differenti (‘l’essere non è’, ‘il non essere è’) alle stesse parole greche? Ma ciò che appare ancor più straordinario è che entrambe le traduzioni sono false. La dea, al principio del suo argomento, non dice che ‘l’essere non è’ (∃~x, dove x è l’essere) né che ‘il non essere è’ (∃~x) e neanche dice che ‘l'essere è’ (∃x). Ognuna di queste traduzioni è falsa. Peggio ancora, queste false traduzioni impediscono di comprendere come lo Straniero di Elea, nel Sofista di Platone, possa trovarsi sia in accordo sia in disaccordo con Parmenide. Esse impediscono dunque di comprendere come lo Straniero giunga infine alla definizione paradossale di una «forma che è, di ciò che non è»." (pp. 115-116)

    (1) Si veda in proposito infra, § 5.

    (2) Cf. Liddell & Scott, 1996, s.v. (p. 209). La prima edizione di questa opera fu pubblicata a Oxford (University Press) nel 1843.

    (3) Per gli opportuni riferimenti si veda infra § 1.

  71. Palumbo, Lidia. 1990. "Sulla nozione di phántasma nel Sofista platonico." Atti della Accademi a di Scienze morali e politiche della Società nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli no. 101:23-42.

  72. ———. 1994. Il non essere e l'apparenza. Sul Sofista di Platone. Napoli: Loffredo Editore.

    "In questa prospettiva tenteremo di dimostrare che la " questione tecnica", intorno alla quale ruota l'intera opera, è la distinzione tra originale e immagine, che su questa distinzione vengono per così dire ricalcate le distinzioni tra essere e non essere, tra realtà e apparenza, tra discorso vero e discorso falso, dunque tra filosofo e sofista. Proveremo a mostrare come, guardando all'intero dialogo come al "luogo " platonico ove si affronta il problema della definizione dell'apparenza, tutti i passi dell'opera si rivelino profondamente collegati in un'unica tensione speculativa che attraversa orizzontalmente il testo dal principio alla fine e ne costituisce la dialettica interna.

    Il punto chiave della nostra lettura del Sofista, che ci permetterà di interpretare alcuni passi del dialogo, non ultimo quello del famoso "parricidio", in una nuova luce, è proprio la nozione di μὴ ὄν, che la critica è orientata ad identificare con oν έτερον. Noi non accettiamo questa identificazione tra il «non essere» ·e il «diverso», perché riteniamo che in 258d5-e3 Platone stabilisca tra il genos έτερον e l' eidos μὴ ὄν un rapporto di tutto a parte: la natura del non essere non si identifica con la natura del diverso, ma con «quella parte di essa che è contrapposta all'essere di ciascun ente».

    Non si tratta, come vedremo, di una questione marginale: la comprensione del tipo di relazione che intercorre tra la natura del non essere e la natura del diverso - per cui il non essere è una parte del diverso, e precisamente quella parte che è contrapposta all'essere di ogni ente - è di fondamentale importanza per la comprensione della definizione platonica dell'apparenza che, come dicevamo sopra, impegna il filosofo per l'intero dialogo.

    Noi tenteremo di dimostrare che il non essere rappresenta per Platone proprio tale dimensione dell'apparire, che il discorso falso, per la sua "comunicazione" con il non essere, è propriamente un discorso apparente, esattamente nello stesso senso in cui il sofista, a causa del suo "commercio" con τὸ μὴ ὄν, è un non filosofo, una falsa immagine di filosofo, un filosofo soltanto in apparenza.

    Il "luogo testuale" in cui, a nostro avviso, Platone pone le basi ontologiche della identificazione tra l'idea del non essere e la specie dell'apparire, è propriamente quello della discussione sulla κοινοια τών γενών , ma noi tenteremo di dimostrare che i termini del problema - che troverà una soluzione appunto solo in quella discussione - vengono posti fin dalle prime pagine del dialogo e si ritrovano nelle ultime battute dell'opera, quando viene data la settima definizione del sofista, cosicché esso appare essere non uno tra gli argomenti dibattuti, ma l'argomento dell'intero lavoro, quello alla cui corretta impostazione e soluzione concorrono tutti gli altri." (pp. 21-22, note omesse).

  73. ———. 1994. "Su alcuni problemi (e alcune soluzioni) relativi al Sofista di Platone." Bollettino della Società Filosofica Italiana no. 152:5-14.

  74. ———. 1995. "Realtà ed apparenza nel Sofista e nel Politico." In Reading the Statesman, Proceedings of the III Symposium Platonicum, edited by Rowe, Christopher J., 175-183. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    "Quanto ci proponiamo di dimostrare, facendo perno su alcuni passi del Sofista e del Politico (come è noto questi due dialoghi nella finzione drammatica presentano lo sviluppo di una discussione che è cominciata nel Teeteto), è che uno dei problemi di fondo della speculazione platonica di questo periodo, quello di individuare i fondamenti ontologici del falso; viene affrontato dal filosofo passando attraverso la questione del non essere inteso non come semplice differenza, ma come apparenza.

    Proprio all'inizio della sezione aporetica del Sofista, quando, dopo alcuni tentativi di definire l'oggetto della ricerca - appunto il sofista - ci si è imbattuti nell'ipotesi che questi altro non sia che 'una specie di stregone, un imitatore delle cose che sono ( ὅτι τῶν γοήτων ἐστί τις, μιμητὴς ὢν τῶν ὄντων, 235 a 1), 'un rappresentante del genere degli illusionisti' (235 b 5), nell'ipotesi che la più corretta denominazione dell'arte sofistica sia quella che la presenta come τέχνη φανταστική, 'arte di produzione delle apparenze' (cfr. 236 c 4), lo Straniero ha annunciato a Teeteto: 'Beato ragazzo, è realmente un ambito di ricerca estremamente difficile quello in cui siamo. Infatti, che una cosa appaia e sembri, ma non sia il dire qualcosa, ma che non sia vero, tutto ciò è pieno di difficoltà sempre, tanto in passato quanto ora. In che modo si debba parlare per dire di opinare che il falso è realmente, e senza che questa asserzione comporti una contraddizione, è una cosa assolutamente difficile da mostrare' (236 d 9 - e 6).

    La difficoltà dell'indagine - chiarisce lo Straniero in questo luogo del Sofista - è tutta nella 'audacia di porre come ipotesi che il non essere sia; in nessun altro modo, infatti, il falso potrebbe venire ad essere' (237 a 3-4)." (p. 175)

  75. ———. 2002. "Hegel interprete del Sofista nelle Lezioni sulla storia della filosofia." In Hegel e Platone, edited by Movia, Giancarlo, 225-249. Cagliari: Edizioni AV.

  76. ———. 2018. "La nozione di immagine in Platone, Soph. 240." In ὁδοὶ νοῆσαι – Ways to think. Essays in Honour of Néstor-Luis Cordero, edited by Spangengerg, Pilar and Pulpito, Massimo, 395-402. Bologna: Diogene Multimedia.

    Abstract: "Questo contributo è un commentario della lettura di Cordero di Platone, Sofista 240. Nel dialogo lo Straniero si meraviglia dell’esistenza del non essere.

    La parola chiave dell’argomento è eidolon (immagine). L’esistenza dell’immagine, infatti, comporta l’esistenza del non essere, perché l’immagine è μὴ ἀληθινὸν, ἐναντίον ἀληθοῦς (240b5). L’immagine è qualcosa di non vero, di contrario del vero. L’immagine dovrebbe non esistere, eppure essa esiste.

    Questa sezione del dialogo è molto aporetica: sebbene molti studiosi ne hanno modificato il testo, Cordero difende la lettura dei manoscritti."

  77. ———. 2021. "Mimêsis teorizzata e mimêsis realizzata nel Sofista platonico." In Platonic Mimesis Revisited, edited by Julia, Pfefferkorn and Spinelli, Antonino, 193-210. Sankt Augustin: Academia Verlag.

    Abstract: "'This paper aims at discussing Platonic examples of mimesis in the Sophist, by trying to identify the mimetic figures that show to the reader, in a vivid way, what the characters of the dialogue abstractly theorize. All Platonic dialogues are mirnetic, but the Sophist is a privileged point of observation of their "mimeticity'' because in the Sophist one of the characters explains what mimesis is, how it works. In addition. such a character does not simply explain this abstractly, but puts mimetic figures in front of the eyes of his interlocutor, just as Plato does with his reader. The question of difference is linked to that of mimesis and plays a crucial role in the Sophist. This question. too, is not only discussed at length but is also presented in front of the eyes of the reader !hanks to the figure of the Eleatic Stranger who embodies the difference and makes it visible, just as the Sophist makes visible the misleading nature of not-being. This dialogue, with the aporiai of diairesis, stages the difficulty of drawing the figure of the sophist, who is never staged as a character, but always faced as a problem."

  78. Palumbo, Lidia, and Casertano, Giovanni. 1994. "Discorso e realtà nel Sofista platonico." Atti dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche - Napoli no. 105:281-296.

    "Possiamo guardare al Sofista come al supremo sforzo di Platone di concettualizzare la possibilità stessa del discorso e della scienza, nella consapevolezza di tutte le difficoltà che comporta la teoria delle idee (quindi nel tentativo di raffinarla, correggendola e dialettizzandola, esplicitandone tutte le potenzialità e le complicazioni), ma ancora nella profonda convinzione che soltanto essa conserva la possibilità di costruire un «discorso migliore» sulla realtà; non solo, alla maniera di Protagora, da un punto di vista etico e politico, ma anche, alla maniera di Aristotele, da un punto di vista logico e gnoseologico. In questa direzione lo sforzo massimo di Platone è appunto quello di definire il più correttamente possibile: 1) il rapporto che lega il nostro discorso sulla realtà alla realtà che nel nostro discorso viene "rispecchiata"; 2) il significato profondo, e nello stesso tempo le modalità, del nostro «costruire» il discorso: non solo cioè stabilire in generale che cosa è un λόγος, quando possiamo parlare correttamente dell'esistenza di un λόγος, ma anche le regole del λόγος corretto senza le quali il "τί" che costituisce l'oggetto del nostro discorso rimane, nonostante tutte le parole che usiamo e che sprechiamo, estraneo alla nostra comprensione ed alla nostra comunicazione (ed è chiaro che questo è il tentativo platonico di superare le difficoltà sollevate da Gorgia); 3) i diversi livelli ai quali dobbiamo porci per capire, e quindi per fissare, le norme per una corretta comunicazione del discorso (e questo era necessario appunto dopo il περί του μη όντος. di Gorgia), per fissare che cosa sono «l'essere» ed «il non essere» (τό όν e τό μη όν). Questo terzo aspetto nel Sofista è quanto mai importante, non solo perché comporta una riflessione ulteriore sulla teoria delle idee elaborata dal Fedone e dalla Repubblica fino al Parmenide, ma anche perché esprime il più alto e consapevole sforzo di Platone di utilizzare, incorporandole nel vivo del suo pensiero, le riflessioni di un Parmenide, di un Eraclito, di un Protagora, di un Gorgia. Questi autori, infatti, implicitamente od esplicitamente, sono presenti, in tutta l'importanza e la complessità delle loro proposte, nel nostro dialogo." (pp. 281-282, note omesse)

  79. Perazzoli, Giovanni. 1999. "Il Nulla e la Chimera. Il Sofista di Platone e la distinzione tra essere della copula e essere dell’esistenza." Novecento.

    "Il rilevamento della presenza o dell’assenza di una chiara delineazione della distinzione tra l’essere come mera «congiunzione» e come «predicato», è stato, soprattutto in ambito neopositivista, l’obiettivo della gran parte dei commentatori del Sofista platonico. L’assunto fondamentale di queste interpretazioni è che la «confusione» logico semantica dei sensi della predicazione, oltre ad essere all’origine dell’aporia centrale del Sofista, l’aporia del nulla, sia in realtà l’errore costitutivo delle indagini filosofiche sull’essere.(1) Le pagine dedicate da Platone alla delineazione dell’aporia del nulla in forza anche della drammatica e disorientante sospensione del rapporto del linguaggio con la logica che vi si realizza, hanno costituito, perciò, un problema molto attraente per tutte quelle concezioni, che attribuiscono ai miraggi del linguaggio i «paradossi» e, in generale, gli stessi problemi della filosofia speculativa." (p. 2)

    (...)

    "L’indagine, dunque, è rivolta ad esaminare, nella teoria della distinzione dei sensi dell’essere, il senso e la possibilità della distinzione tra il senso dell’«essere» come semplice «copula» e quello dell’«essere» come «predicato». Al contempo, si tratterà di esaminare, in particolari occorrenze testuali, le posizioni di quegli interpreti, ma soprattutto di quei filosofi, che, incontrando in modo più o meno opportuno e felice il problema platonico del «nulla», hanno ritenuto di avere in mano la soluzione del bimillenario «guazzabuglio mentale intorno all’‘esistenza’»(3) (secondo la definizione di Russell). L’indistinzione tra l’«essere copulativo» e l’«essere esistenziale» è stata considerata, con varie differenze, come la conseguenza dell’indistinzione «arcaica» tra parola e cosa, tra piano logico e piano ontologico.

    In realtà, benché dotata di un’apparente irrefragabile evidenza e di un’enorme fortuna, la distinzione della predicazione copulativa ed esistenziale risulta coinvolta, ben più di quanto immediatamente non appaia, in difficoltà e paradossi ed è ben lungi dal risolvere il problema posto da Platone; e non risolvendolo entra in crisi essa stessa nella sua ambizione di costituirsi come prospettiva ontologica." (p. 3)

    (1) Un esempio di questa tesi si può trarre da Jon Stuart Mill, il quale scrive nel System of Logic, ratiocinative and inductive: being a connected view of the principles of evidence and the methods of scientific investigation (London, Longmans, Green, Reader & Dyer, 18728, I, p. 86): «many volumes might be filled with the frivolous speculations concerning the nature of Being, [...] which have arisen from overlooking this double meaning of the word to be; from supposing that when it signifies to exist, and when it signifies to be some specified thing, as to be a man, to be Socrates, to be seen or spoken of, to be a phantom, even to be a nonentity, it must still, at bottom, answer to the same idea; and that a meaning must be found for it which shall suit all these cases. The fog which rose from this narrow spot diffused itself at an early period over the whole surface of metaphysics».

    (3) B. Russell, Storia della filosofia occidentale e dei suoi rapporti con le vicende politiche e sociali dall’antichità ad oggi, 4 voll., Milano, Longanesi, 1967, IV (Da Rousseau ad oggi), p. 1101.

  80. Perriello, Ricardo Lucio. 2010. "La metafisica del Sofista nell'orizzonte della protologia (prima parte)." Salesianum no. 72:423-444.

    Abstract: "In this article I propose to afford an interpretation of the metaphysic of the five genus of the platonic Sophist, on the base of the last hermeneutic paradigm, concerning the studies of the school of Tubinga-Milano. The last hermeneutic paradigm of the platonic thought concentrates the attention on the "unwritten doctrines" and on their metaphysic nucleus, the prothology, doctrine of the supreme principles of the One and the Diades. The One, principle of unity and the Diades, principle of multiplicity, found the being, understood as synthesis of unity and multiplicity. On the base of this general statement of platonic thought and of the articulated metaphysic system, which is founded on this interpretation, I try to interpret the five great genus of Sophist: the being, the same, the different, the movement and the quiet, searching to prove the transcendence of the being, of the same and of the different on other two genus and their deep valence about the platonic System and about a renovated metaphysic proposal in the actual age."

  81. ———. 2010. "La metafisica del Sofista nell'orizzonte della protologia (seconda parte)." Salesianum no. 72:629-654.

  82. Raschini, Maria Adelaide. 1961. "La dialettica del Sofista." Giornale di Metafisica no. 16:693-730.

    Ristampato in M. A. Raschini, Saggi su Platone e Plotino, a cura di Pier Paolo Ottonello, Venezia: Marsilio, 2000, pp. 23-60.

  83. Rezzani, Maria. 1952. "I problemi fondamentali del Sofista di Platone." Sophia:298-309.

  84. Riccardo, Amalia. 2004. "Tra ἔλεγχος e ἀπόδειξις: strategie di analisi di un testo parmenideo (DK 28 B7. 1-2) nel Sofista di Platone." In L’ultima parola: l’analisi dei testi. Teorie e pratichenell’antichità greca e latina: atti del terzo colloquio italo-francese, edited by Abbamonte, Giancarlo, Conti Bizzarro, Ferruccio and Spina, Luigi. Napoli: Arte Tipografica.

  85. Roggerone, Giuseppe Agostino. 1983. La crisi del platonismo nel Sofista e nel Politico. Lecce: Milella.

  86. ———. 1990. I dialoghi platonici del Forestiero di Elea: Sofista e Politico. Settimo Milanese: Marzorati.

  87. Rossetti, Livio. 2019. "Il Parmenide phusikos e il meccanismo di Antikitera: Risposta alle osservazioni di N. L. Cordero ( Archai 25, 2019)." Archai no. 27:1-7.

  88. Rossitto, Cristina. 1995. "La dialettica platonica nel Sofista: elenchos o diairesis?" In Platone e la dialettica, edited by Di Giovanni, Piero, 39-57. Bari: Laterza.

    Ristampato in: C. Rossitto, Studi sulla dialettica in Aristotele, Napoli: Bibliopolis, 2000, pp. 327-346.

  89. Russo, Nicola. 2011. "Nichilismo del lógos. Il "veramente falso" nel Sofista di Platone." In Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, edited by Palumbo, Lidia, 615-627. Napoli: Loffredo.

    "... le brevi considerazioni che seguono non hanno lo scopo di “difendere” Platone dall’accusa di nichilismo, ammesso e non concesso che di un’accusa possa trattarsi, né di emendare quelle vulgate, la cui inconsistenza è stata già più volte dimostrata. Il ritorno al testo platonico, invece, risponde a esigenze teoriche, a quelle esigenze suscitate proprio dalla riflessione intorno alla questione del nichilismo.

    Una questione che nasce essenzialmente dal problema della verità, decisivo in Nietzsche come in Platone, e che si sviluppa verso l’ontologia in maniera consequenziale, poiché il luogo della verità è proprio il nesso ontologico, l’unità di λόγος e ὄν riconosciuta fin dai suoi primi inizi dalla filosofia greca, quell’equazione parmenidea intorno a cui Platone non si è mai stancato di interrogarsi e che nelle pagine centrali del Sofista considera proprio in riferimento al vero e al falso, all’ente e al non ente. Pagine in cui mostra di avere una consapevolezza molto lucida di quanto andava maneggiando teoricamente e di cosa vi fosse in gioco, tanto che non è infondato il sospetto, che almeno a lui «l’essenza del nichilismo» non fosse affatto «occulta». È allora tramite una breve lettura di alcuni passi di quel dialogo acrobatico – in senso greco –, che cercheremo di saggiare la sostanza del “nichilismo platonico”. (p. 614)

  90. Sasso, Gennaro. 1991. L'essere e le differenze. Sul Sofista di Platone. Bologna: Il Mulino.

    "Poiché, oltre che storiografica, questo libro ha natura teoretica, e anzi proprio quest'ultima apparirà a qualcuno come la sua più autentica, desidero dichiararne subito, o specificarne, l'intento e la tesi. Ho scritto questo libro per far vedere che, malgrado la sua importanza, e lo straordinario acume con il quale l'analisi dell'eleatismo e, in particolare, di Parmenide, vi è stata condotta fino alle estreme conseguenze, il Sofista culmina nella dichiarazione, non però nell'autentica dimostrazione, della «differenza». Ho scritto questo libro perché, convinto come sono che da nessuno la questione della differenza sia stata posta e discussa con altrettanta lucidità, ritengo tuttavia che, pur dopo il tentativo platonico di risolverla, questa resti, per la filosofia, aperta. Ho scritto questo libro, non per risolverla, tale questione; ma piuttosto per mostrare, in forma implicita (e, qualche volta, esplicita), perché quella tracciata da Platone sia una via che, dopo essere stata seguita fino in fondo, deve tuttavia, con decisione, essere abbandonata. L'ho scritto, infine, per far vedere quante difficoltà la consapevolezza del «fallimento» platonico riveli nel fondo della questione, e quanto lungo, aspro e disagevole sia il cammino che resta, o resterebbe, da percorrere." (Prefazione, 7)

  91. Sini, Carlo. 2004. "Il significato politico dell'ontologia di Platone." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 115-120. Milano: Albo Versorio.

    " "Ontologia di Platone" è un'espressione impropria. Essa sembra suggerire che esista una "storia dell'ontologia" in qualche modo presupposta e in sé entro la quale sia possibile e legittimo collocare Platone, come poi Tommaso, Spinoza, Hegel e così via. Penso invece che il Sofista e il Parmenide, cioè i dialoghi ai quali si fa qui espresso riferimento, costituiscano, caso mai, la soglia e la premessa a partire dalla quale qualcosa come l'ontologia si mette in movimento e si rende intelligibile e disponibile nella storia della tradizione filosofica. Non esiste, come se fosse cosa ovvia, una scienza dell'ente, della quale Platone rappresenterebbe un capitolo; al contrario, è con Platone che si inaugura un nuovo senso di ciò che si dice "realtà" e un nuovo senso dell'"essere reale"; è a partire dal gesto inaugurale di Platone che la riflessione filosofica comincia a immaginare e, per così dire, a "sognare" qualcosa come un'ontologia: invenzione di Platone che anche noi moderni non smettiamo di perseguire e di sognare." (p. 115)

  92. Sirianni, Filippo. 2020. "ΣΤΑΣΙΣ e ΔΙΑΦΘΟΡΑ. Nota a Sofista 228a7-8." Elenchos.Rivista di Studi sul Pensiero Antico no. 41:141-155.

    Abstract: "Passage 228a7-8 of Plato’s Sophist has been the object of a broad debate by reason of a number of subtle interpretative problems. The present work attempts to take stock of this passage and to put forward a satisfying solution from both a philological and an exegetic perspective. I seek to show that the reading cited by Galen and adopted in the editions of the Sophist (τὴν τοῦ φύσει συγγενοῦς ἔκ τινος διαφθορᾶς διαφοράν) cannot be preferred to the variant found in the manuscripts of the dialogue (τὴν τοῦ φύσει συγγενοῦς ἔκ τινος διαφορᾶς διαφθοράν). As for the interpretation, both readings stand out as problematic. I propose to reconsider the interpretation of the syntagma τοῦ φύσει συγγενοῦς and to translate it as “the natural kinship” rather than as “what is naturally kindred”.

    The paper continues with an analysis of the role played by kinship in Plato’s philosophy, showing how its sundering can be identified with stasis.

  93. Valle, Manuela. 2016. Un'antica discordia. Platone e la poesia: Ione, Simposio, Repubblica e Sofista. Napoli: Paolo Loffredo iniziative editoriali.

    ""Vi è un’antica discordia tra filosofia e poesia”: così si esprime Socrate nel X libro della Repubblica e possiamo convenire che tale controversia certamente antica sia, almeno per Platone. Lungo l’intero arco della sua vita da filosofo e da scrittore filosofico, Platone si pose il problema del confronto con la poesia e i poeti. Ione, Simposio, Repubblica, Sofista costituiscono quattro momenti fondamentali in cui tale confronto si è articolato ed è ad una loro analisi, insieme contenutistica e formale, che questo libro è dedicato. Più che ad una discordia, l’impressione è che si assista ad una ripetuta insoddisfazione rispetto ai risultati raggiunti nelle indagini sulla poesia, ancora una volta sfuggente. La diaphora è allora, in fondo, una “distanza”, oltre che antica, salutare, perché è là che si origina l’esigenza di una nuova ricerca."

  94. van Eck, Job. 2007. "L'analisi platonica del falso. Una vetta nella storia dell'analisi logica." Rivista di Storia della Filosofia no. 62:635-646.

    Traduzione dall'inglese di Mauro Bonazzi.

    "Eppure rimangono dei testi non ancora adeguatamente compresi. Un esempio significativo è la parte centrale del Sofista (237-264), dove Platone affronta il problema del falso. L'obiettivo di fondo del dialogo è descrivere il sofista imbrigliandolo in una definizione. I due personaggi principali, Teeteto e uno 'Straniero di Elea', intendono presentare il sofista come un illusionista che crea false opinioni. Ma il sofista non cade facilmente nella rete replicando che il concetto di falso è problematico. Chi ha una falsa opinione o pronuncia una falsa asserzione crede o dice qualcosa che non è. Ora, ciò che non è non esiste.

    Ma come possono un'opinione o un'asserzione rappresentare qualcosa che non è, vale a dire qualcosa di cui non si può dare una rappresentazione? Come possono un'opinione o un'asserzione essere false? Di questo problema si discuteva nella seconda metà del V sec. a.C. in un contesto segnato dallo scetticismo e dal relativismo tipici del movimento sofistico del tempo. L'idea che nessuno possa pronunciare una falsa asserzione e che contraddire sia impossibile è attribuita a Protagora (490-420 a.C.), l'esponente di spicco della sofistica, e ben si adatta al soggettivismo da lui professato: non c'è una realtà oggettiva, esiste soltanto il mondo dell'esperienza soggettiva di cui non si danno affermazioni con validità oggettiva. Tutto ciò che appare ad ognuno, ogni percezione e ogni opinione possiedono la stessa validità soggettiva. Le opinioni di ciascuno sono per ciascuno vere: 'L'uomo è la misura di tutte le cose'. Il problema del falso e l'idea che non si possa distinguere tra asserzioni false e vere era alla radice di una diffidenza generale circa la possibilità della conoscenza scientifica, cioè oggettiva; questo problema aggiungeva benzina al fuoco dello scetticismo circa la possibilità che il pensiero e le argomentazioni funzionassero come mezzo per arrivare a dei giudizi in grado di pretendere validità oggettiva.

    Ecco perché risolvere questo problema era importante non soltanto da un punto di vista logico." (p. 636)

  95. Vegetti, Mario. 2004. "Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 95-104. Milano: Albo Versorio.

    Ristampato in: Gastaldi, Silvia, Calabi, Francesca, Campese, Silvia and Ferrari, Franco (a cura di), Dialoghi con gli Antichi, Sankt Augustin: Academia Verlag 2007, pp. 123-131.

    "Per avvicinarci a una comprensione in positivo della natura e del senso della dialettica dicotomica, è bene considerare il modo con cui essa viene delineata nel disegno dialogico del Sofista. Si tratta, come è ben noto, di dare la caccia al personaggio omonimo, che a sua volta è un cacciatore, di seguirne le tracce (ichne), di afferrarlo e chiuderlo in una rete: come ha osservato Bernadete, il linguaggio della caccia - che comporta una valenza euristica - appare dominante nel dialogo. Ma come condurre questa caccia a una figura di cui è noto soltanto il nome?

    Il primo aspetto saliente del dialogo è che il procedimento che verrà seguito risulta introdotto senza formulare alcuna regola metodica, per la quale occorre attendere il riepilogo - a cose fatte - delineato alla fine del dialogo (264d-e ). Poiché nella finzione dialogica il Sofista precede il Politico, e non è lecito d'altra parte presumere che lo Straniero di Elea avesse assistito alla conversazione fra Socrate e Fedro sulle rive dell'Ilisso (su cui dovremo tornare), nel contesto del dialogo viene presentato un esperimento privo sia di regole sia di precedenti, e come tale esso andrà qui rapidamente riconsiderato." (p. 97)

  96. Vitiello, Vincenzo. 2004. "Incontro sul Parmenide e il Sofista." In Platone e l'ontologia. Il Parmenide e il Sofista, edited by Bianchetti, Matteo and Storace, Erasmo, 107-114. Milano: Albo Versorio.

    "Mi fermerò in particolare sul Parmenide che costituisce da sempre - e ancora - un problema aperto." (p. 107)

    (...)

    "Qualche parola ancora sul Sofista - solo a smentire la falsa convinzione che con questo dialogo Platone scioglie le "contraddizioni" del Parmenide, trasforma l'aporia in euporia, la via bloccata in strada di passaggio.

    Fermiamoci sulla koinonia ton genon. Bene, cosa dice questa comunione di generi? Che essere non è diverso, ma si partecipa del diverso - fosse il medesimo che diverso, non potremmo dire che l'identico "è". E lo stesso va ripetuto per moto e quiete. Ma ... , ma per parteciparsi a moto e quiete, a identico e diverso, moto e quiete, identico e diverso in qualche modo debbono già "essere". Come, se già non fossero, essere potrebbe ad essi parteciparsi?

    E non si dica che solo perché essere si partecipa ad essi, identico e diverso, quiete e moto sono. Perché se identico è solo dopo che essere gli si partecipa, allora essere conferisce ad identico con l'essere l'identità, e così al diverso, alla quiete e al moto. In entrambi i casi all'essere che è diverso dagli altri quattro generi s'aggiunge altro essere che è - in qualche modo - tutti i generi, non essendoli. In qualche modo: in quale? In quello che Platone ci ha detto nel Parmenide. Al modo dell'essere non essendo, del disdire disdicentesi." (p. 112)

  97. Zadro, Attilio. 1961. Ricerche sul linguaggio e sulla logica del Sofista. Padova: Antenore.